Il retaggio di Norberto
Bobbio
Miguel Reale*
Tradução livre ao português por Nicholas Merlone
INSTITUTO CULTURAL ÍTALO - BRASILEIRO
Quaderni - Nuova serie n. 1
SAN PAOLO
Quando
Norberto Bobbio venne in Brasile, nel 1983, su invito dell’ Università di
Brasilia, ebbi l’onore di porgerli Il saluto a nome dei pensatori brasiliani. Inizialmente
ricordai che negli anni sessanta avevo preso l’ iniziativa di diffondere fra
noi Il suo pensiero grazie all’inclusione – nella collana “Coleção Direito e
Cultura”, da me diretta per la casa editrice Saraiva – di un’ ottima monografia
sulle sue teorie, firmata da padre Astério de Campos.
Fin
da allora mi convinsi – e la mia convinzione aumentava col passar del tempo –
che Bobbio non si è mai curato di qualificare la própria posizione filosófica,
preferendo Il ruolo di grande mentore e illustratore delle idee giuridiche e
politiche fondamentali, sempre volte al perfezionamento della democrazia.
Per
questo motivo dichiarai che non lo consideravo un neopositivista, come era in
genere considerato, ma piuttosto um filosofo fiero di estrarre la sostanza
delle dottrine senza però affiliarsi a nessuna di esse.
Nella
risposta che mi diede e che mi colpì molto, Il maestro italiano si dichiarò d’
accordo com la mia osservazione, affermando che si considerava um teórico della
scienza più che un filosofo, nona vendo mai preteso di “formulare concezioni
generali della realtà” (cfr. Carlos Henrique Cardim, a cura de – Bobbio no Brasil – Ed. Universidade de
Brasília, 2001, pag. 31).
Il suo
costante impegno nel rivelare la sostanza delle dottrine fondamentali è stato
forse il suo maggiore contributo alla storia della cultura. Nessuno, a mio
parere, ha saputo penetrare così a fondo l’ essenza del pensiero
filosofico-giuridico di Kant senza diventare kantista, o di Hegel o Marx senza
essere hegeliano o marxista.
Preferiva, come affermò in quell’
occasione, essere un uomo del Rinascimento, “un nano sulle spalle di giganti”,
perchè in questo modo poteva vedere di più o meglio di loro – di questi giganti
alla cui esistenza dobbiamo essere eternamente grati. Tale atteggiamento è
estremamente complesso e difficile, in quanto costituisce la scelta dell’ amore
per l’ idea come idea, precipuamente in funzione dei valori supremi del
processo culturale, per il progresso impersonale della scienza.
Una delle opere più seducenti di
Benedetto Croce è “Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel”,
in cui l’ autore presenta ciò che è profondo e perenne nell’ idealismo
hegeliano, senza per questo dover necessariamente diventare un adepto di questa
corrente di pensiero. Si può dire che Bobbio ha applicato questa direttiva ai
fondatori della scienza giuridico-politica attuale, dedicando particolare
attenzione alle condizioni peculiare di ogni momento storico.
In realtà, egli è andato oltre il
semplice esame dottrinario di libri e monografie degli autori, nella
misura in cui ha applicato gli stessi
criteri relativistici all’ esame dell’ epoca in cui essi hanno operato; da ciò
risulta uno storicismo aperto alle imprevedibili innovazioni della società e
della scienza e libero dagli ostacoli e dagli impendimenti indicati da Karl
Popper nell sua nota critica allo storicismo.
Ciò che più mi seduce nell’ opera di
Bobbio è la sua critica storica, la capacità di cogliere quanto di più
significativo e fecondo vi è nelle produzioni filosofiche e scientifiche,
mantenendo sempre un intimo e concreto rapporto con le necessità individuali e
collettive.
Egli, ad esempio, ha saputo vedere
in Hobbes qualcosa di più del teorico del Leviatano, dello Stato autoritario
(como lo si considerava di regola), rivelandoci un pensatore impegnato a
dimostrare l’ essenziale positività del poterè – ragione per cui sia il diritto
sia la politica non possono non essere studiati como scienze positive. In
questo senso, egli ricordava l’ insegnamento hobbesiano secondo cui “auctoritas,
non sapientia, facit leges” (è l’ autoritá che fa le leggi, e non la saggeza).
Era, insomma, tutta una nuova visione di Hobbes che si dischiudeva grazie alla
sua acuta interpretazione.
In quest’ ordine d’ idee, nel suo
discorso a Brasilia, Bobbio confessava che si considerava “positivista in senso
giuridico e non in senso filosofico”, aggiungendo che il neopositivismo era
stato per lui un’ esperienza utile, poichè gli pareva che gli strumenti
linguistici da esso forniti all’ analisi del Diritto fossero enormemente
importanti per l’ Ermeneutica Giuridica.
Lo stesso equilibrio si nota a
proposito della “Teoria Pura del Diritto” di Hans Kelsen, il cui maggior contributo
sarebbe costituito dalla dimostrazione che il fatto essenziale nel diritto è la
dimensione normativa, e che considera invece secondario il fatto che questa sia
presentata in modo formalistico, per influsso di Kant. Ciò che è importante nel
kelsenismo, a suo parere, è la visione dell’ ordinamento giuridico come una
progressione normativa, valida di per sé e non come creazione del potere
statale.
Per quanto riguarda la “teoria
tridimensionale del diritto” – i cui presupposti mi sembravano presenti nel suo
pensiero – Bobbio ha dichiarato di essersi avvicinato alla mia posizione per la
seguente ragione: “Teoria tridimensionale vuol dire precisamente che il mondo
del diritto deve essere visto da tre punti di vista inseparabili: il punto di
vista dei valori, il punto di vista delle norme e il punto di vista dei fatti.
Da qui sorge la vera e propria filosofia del diritto che si occupa dell’
ordinamento giuridico, e la sociologia del diritto, che si occupa del diritto
come fatto. Credo che si vuole avere una visione completa dell’ esperienza
giuridica, è necessario avere in mente questi tre punti di vista. La differenza
sta nel fatto che non ho mai teorizzato queste tre dimensioni del diritto, pur
avendole applicate, senza però avere mai elaborato una teoria a questo
proposito” (opera citata, pag. 30)
Con questi tre esempi penso di avere
dimostrato che quanto caratteriza la critica storica di Norbeto Bobbio è la
constante ricerca degli elementi essenziali, evitando quelle genericità in
grado di suscitare dubbi.
D’ altra parte, quest’ impegno nella
ricerca dell’ essenziale non ha mai comportato l’ accettazione di riduzionismi
che portino il ricercatore a smarrirsi in cerca di un unico elemento per
spiegare esperienze complesse como quelle del diritto e della democrazia.
In questo senso si potrà forse
affermare che nella lunga e fertile esistenza di Bobbio nessuna aspirazione è
stata maggiore della persistente indagine sull’ essenza della Democrazia, che
alcuni ritengono fondata sulla libertà e altri sull’ uguaglianza.
Per lui, e questo è uno dei lasciti
più rilevanti del suo fecondo magistero, libertà e uguaglianza sono valori
necessariamente complementari – e questo fatto l’ ha deciso – su esempio della
scelta di Carlo Rosselli, nei lontani anni ’30 – a scegliere il “socialismo
liberali”, dopo varie esperienze vissute intensamente, come quella della
socialdemocrazia. Liberalismo e socialismo secondo lui non sono idee o ideali
in contrapposizione, ma anzi devono conciliarsi fra loro nella misura in cui lo
permettano le variabili situazioni storiche di ogni popolo.
Questa conclusione non gli impediva
di considerarsi un “uomo di sinistra”, posizione che a suo parere continuerà ad
essere giustificata finchè ci saranno disugualianza e esclusione sociale ai
livelli i cui esistono tuttora. Secondo me, tuttavia, se il liberalismo e il “socialismo
liberali” sia il “liberalismo sociale”, da me preferito, puntano verso il
centro superatore del conflitto delle ideologie. Questa è la conclusione cui
arrivo nel mio libro “O Estado Democrático de Direito e o conflito das
ideologias” [Lo Stato Democratico di Diritto e il conflito delle ideologie]
(Saraiva, 2ª. edizione, 1999)
Traduzione di Roberta Barni
*Giurista,
filosofo, membro dell’ Academia Brasileira de Letras [Accademia Brasiliana
delle Lettere], socio dello studio Reale Advogados Associados [Studio Legale
Reale e Soci].
O legado de
Norberto Bobbio
Miguel Reale**
Quando Norberto Bobbio esteve no
Brasil, em 1983, a convite da Universidade de Brasília, teve a honra de expor a
saudação em nome de pensadores brasileiros. Inicialmente eu me lembrei que eu
tinha tomado na década de sessenta a iniciativa de difundir entre nós o seu
pensamento através da inclusão - na série 'Coleção Direito e Cultura', dirigida
por mim para a Editora Saraiva - uma excelente monografia sobre suas teorias,
assinada pelo padre Astério de Campos.
Desde então, me convenci - e a minha
convicção crescia ao longo do tempo - que Bobbio nunca se importou em
qualificar a própria posição filosófica, preferindo o papel de um grande mentor
e ilustrador de idéias jurídicas e políticas fundamentais, sempre no sentido de
aperfeiçoar a democracia.
Por esta razão declarou que não se
considerava um neopositivista, como era geralmente considerado, mas mais um orgulhoso filósofo para extrair a substância das doutrinas, sem no entanto se
afiliar a nenhuma delas.
Em resposta que ele me deu e me
impressionou muito, o professor italiano declarou estar de acordo com a minha
observação, afirmando que se considerava um teórico da ciência, em vez de um
filósofo, não se vendendo nunca reivindicando para “formular concepções gerais
da realidade” (cfr. Carlos Henrique Cardim, através de - Bobbio no Brasil - Ed. Universidade de Brasília, 2001, p 31).
Seu esforço constante para revelar o
conteúdo das doutrinas fundamentais foi talvez sua maior contribuição para a
história da cultura. Ninguém, na minha opinião, tem sido capaz de penetrar tão
profundamente na essência do pensamento filosófico-legal de Kant, sem se tornar
kantista, ou Hegel ou Marx sem ser hegeliano ou marxista.
Ele preferia, como disse na ocasião,
ser um homem do Renascimento “um anão nos ombros de gigantes”, porque desta
forma ele podia ver mais ou melhor do que eles - esses gigantes da existência
dos quais deveríamos ser eternamente gratos. Esta atitude é extremamente
complexa e difícil, como é a escolha de amor pela ideia como uma ideia,
principalmente em função dos valores supremos do processo cultural, para o
progresso impessoal da ciência.
Uma das obras mais fascinantes de
Benedetto Croce, "O que está vivo e o que está morto na filosofia de
Hegel," em que o autor apresenta o que é profundo e perene no idealismo hegeliano, sem se tornar
necessariamente um adepto dessa escola de pensamento. Ele pode dizer que Bobbio
aplicou esta directiva para os fundadores das ciências jurídica e política
atual, com especial atenção para as condições únicas de cada momento histórico.
Na verdade, ele foi além do simples
exame doutrinário de livros e monografias dos autores, na medida em que aplicou
os mesmos critérios relativistas do período de análise em que operava; a partir
do que é um historicismo aberto a inovações imprevisíveis da sociedade e
ciência e livre de obstáculos e por impendimentos indicados por Karl Popper em
sua crítica conhecida ao historicismo.
O que mais me atrai na obra de
Bobbio é a sua crítica histórica, a capacidade de compreender o que é mais
significativo e fecundo são as produções filosóficas e científicas, mantendo
uma relação estreita e específica com as necessidades individuais e coletivas.
Ele, por exemplo, tem sido capaz de
ver em Hobbes algo mais do que o teórico do Leviatã, o Estado autoritário (como
se considerava de regra), revelando-se um pensador comprometido a demonstrar a
“positividade essencial do poder - razões pelas quais tanto o direito como a
política não podem ser estudados como ciências positivas. Neste sentido,
recordou a doutrina hobbesiana de que “auctoritas, non sapientia, facit leges”
(é a autoridade que faz as leis, e não a sabedoria). Foi, em suma, uma nova
visão inteira de Hobbes que foi aberta graças à sua perspicaz interpretação.
Nessa ordem de ideias, em seu
discurso em Brasília, Bobbio confessou que ele se considerava “positivista no
sentido jurídico e não no sentido filosófico”, acrescentando que o neopositivismo
tinha sido para ele uma experiência útil, porque lhe parecia que as ferramentas
linguísticas fornecidas por ele para análise do Direito foram enormemente
importantes para a Hermeneutica Jurídica.
O mesmo equilíbrio se nota a
respeito da "Teoria Pura do Direito", de Hans Kelsen, cuja
contribuição mais importante seria constituída pela demonstração de que o fato
essencial no direito é a dimensão normativa, e que considera ao contrário
secundário o fato de que este é
apresentado de um modo formalista, a influência de Kant. O que é importante no
Kelsenianismo, em sua opinião, é a visão do ordenamento jurídico como uma
progressão normativa, válida em si mesma e não como uma criação do poder do
Estado.
Quanto à "teoria tridimensional
do direito" - cujos pressupostos me pareciam presentes em seu pensamento -
Bobbio disse que ele se aproximou de minha posição pela seguinte razão: "Teoria
tridimensional significa precisamente que o mundo do direito deve ser visto por
três aspectos inseparáveis: o ponto de vista dos valores, o ponto de vista das
normas e do ponto de vista dos fatos.
Aqui reside a verdadeira e própria
filosofia do direito, que aparece no ordenamento jurídico, e a sociologia do
direito, que trata o direito como um fato. Eu acredito que se quiser ter uma
visão completa da experiência jurídica, é necessário ter em mente estes três
pontos de vista. A diferença reside no fato de que eu nunca teorizei estas três
dimensões do direito, mesmo tendo-lhes aplicada, sem nunca ter desenvolvido uma
teoria sobre esse propósito "(obra citada, p. 30)
Com estes três exemplos, acredito de
ter demonstrado que o que caracteriza a crítica histórica de Norbeto Bobbio é a
busca constante dos elementos essenciais, evitando essas generalidades que podem
despertar dúvidas.
Por outro lado, este compromisso na investigação
essencial nunca envolveu a aceitação de reducionismo que levam o pesquisador a
vaguear em busca de um elemento único para explicar experiências complexas como
aquelas do direito e da democracia.
No que se refere a isso, poderia talvez
se afirmar que na longa e fecunda existência de Bobbio nenhuma aspiração foi
maior do que a indagação persistente sob a essência da Democracia, que alguns
acreditam ser baseada sob a liberdade e outros sob a igualdade.
Para ele, e este é um dos legados
mais importantes de seu frutífero magistério, a liberdade e a igualdade são
valores necessariamente complementares - e esse fato decidiu - seguindo o
exemplo da escolha de Carlo Rosselli, de volta aos anos 30 - para escolher o
"socialismo liberal", depois de várias experiências vividas
intensamente, como a da social democracia. O liberalismo e o socialismo não
estão em suas ideias ou ideais em oposição, mas aliás devem se conciliar com o
outro, na medida em que permitem que estas situações variáveis históricas de
cada povo.
Esta conclusão não o impediu de se
considerar um "esquerdista", uma posição que, na sua opinião, vai
continuar a ser justificada, desde que haja desigualdade e exclusão social ao
nível dos quais ainda existem. Na minha opinião, no entanto, o liberalismo e o
"socialismo liberal" será o "liberalismo social", preferido
por mim, apontando para o centro superador do conflito de ideologias. Esta é a
conclusão a que chego em meu livro “O Estado Democrático de Direito e o conflito
das ideologias” [Lo Stato Democratico di Diritto e il conflito delle ideologie]
(Saraiva, 2ª. edizione, 1999)
Tradução para o italiano por Roberta
Barni
**Jurista,
filósofo, membro da Academia Brasileira de Letras [Accademia Brasiliana delle
Lettere], sócio do escritório Reale Advogados Associados [Studio Legale Reale e
Soci].